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Cristo Crocefisso
Cristo Crocefisso
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Cristo Crocefisso
Scheda Tecnica

Firmato Collezione privata, Francia

Provenienza Collezione privata, Belgio

Periodo Medioevale

Anno ALTO RENO/ALPI SVIZZERE, 1330-50 ca.

Profondità Altezza 137 cm

BibliografiaW. SAUERLA?NDER, La sculpture gothique en France. 1140-1270, Paris 1972 (1a ed.: Gotische Skulptur i Frankreich, Mu?nchen 1970); P. WILLIAMSON, France 1230-1300, in Gothic Sculpture. 1140-1300, New Haven-London 1995, pp. 141-173; P. WILLIAMSON, The Holy Roman Empire 1240-1300, in Gothic sculptures, New Haven, 1995, pp. 174-199; D. ZINKE (a cura di), Augustinermuseum Freiburg. Bildwerke des Mittelalters und der Renaissance 1100-1530, Mu?nchen 1995, pp. 24-26, n. 6; D. GABORIT-CHOPIN, J.-R. GABORIT (a cura di), L’art au temps des rois maudits: Philippe le Bel et ses fils. 1285-1328, catalogo della mostra (Parigi, Grand Palais, 17 marzo - 29 giugno 1998), Paris 1998; D. FLU?HLER-KREIS, P. WYER, Die Holzskulpturen des Mittelalters. I. Katalog der Sammlung des schweizerischen Landesmuseums Z rich. Einzelfiguren, 2 voll., Z rich 2007, I, pp. 108-109, n. 38; U. SO?DING, Importierte Skulpturen. Transalpine Wechselbeziehungen vom 13. bis zum 16. Jahrhundert, in Dialog - Transfer - Konflikt. Ku?nstlerische Wechselbeziehungen im Mittelalter und in der Fru?hen Neuzeit, atti del convegno (Monaco di Baviera, 4-6 ottobre 2012) a cura di W. Augustyn, U. So?ding, Passau, 2014, pp. 189-256. M. GRANDMONTAGNE, T. KUNZ (a cura di), Skulptur um 1300 zwischen Paris und Ko?ln. Fu?r die Skulpturensammlung und das Museum fu?r Byzantinische Kunst – Staatliche Museen zu Berlin, Berlin 2016.Show More

Tipologia ALTO RENO/ALPI SVIZZERE, 1330-50 ca. Legno di conifera (cirmolo) con tracce di policromia e incamottatura.

Autore Cristo Crocefisso

Scheda tecnica

Descrizione

Nonostante sia pervenuto pressoché privo di policromia e senza gli arti superiori, il Crocifisso in esame si distingue per la fusione di elementi formali arcaizzanti con più moderni elementi stilistici del Gotico transalpino.

La figura è quasi a grandezza naturale ed è scavata accuratamente sulle terga per limitare l’assestamento naturale del legno di conifera in cui è ricavata. L’eco di un retaggio tardoromanico si evince quindi nell’impostazione d’insieme bloccata e nell’anatomia vigorosa.

A questi aspetti si aggiungono l’assenza di una ferita costale intagliata (sopravvive solo del pigmento rosso) e, soprattutto, lo sguardo di Cristo che, per quanto mesto, appare ancora vivo. Siamo lontani dalla concezione severa e perfettamente ieratica del Triumphans che prefigura il Cristo giudice dell’Apocalisse, anzi, nel nostro caso è più corretto parlare di “semi-paziente”. Si può semmai congetturare che l’attributo segmentato sul capo non sia l’insolita ossatura di ciò che resta di una corona di spine, bensì l’anello di un diadema regale, risarcito in alcuni punti e forse dotato in principio di qualche piccolo innesto cuspidati poi perduto.

Non si può escludere che si sia di fronte a un’immagine che, per mere ragioni devozionali, cerchi di ricalcare a un modello più antico, del resto il prevalente verticalismo del corpo sarebbe al riguardo un’ulteriore peculiarità. Oltretutto, a eccezione del tuttotondo della testa appena scostata sulla destra e della gamba sullo stesso lato che tende a sollevarsi lievemente a causa dei piedi giustapposti, l’intaglio si staglia ancora in altorilievo dal fondo, tanto da ritenere che l’opera fosse destinata a un supporto sufficientemente ampio: presumibilmente una croce con tabelloni dipinti.

La scultura fu sottoposta credibilmente a una venerazione importante, tanto che le tracce di un ripetuto accarezzamento devozionale si scorgono alle estremità degli arti inferiori e, almeno in parte, nella testa. Il primo indizio di una cronologia ormai trecentesca affiora però sul dorso grazie all’orientamento delle cavità d’incastro delle braccia, originariamente inclinate al di sopra delle spalle. Altrettanto eloquente è l’armonizzazione della figura, sia nei lineamenti elaborati e nella morbida capigliatura che scontorna il viso, sia nello schematismo grafico della griglia costale ad arco acuto, sia nel perizoma che si dipana asimmetricamente sul ginocchio sinistro con robuste pieghe mistilinee.

È evidente che questo genere di soluzioni, sebbene chiaramente di riflesso, sono l’esito di espedienti gotici coerenti con le innovative istanze artistiche di area renano-mosana e dell’ìle-de- France già ampiamente irradiate nel corso del XIII secolo in gran parte d’Europa. Esemplificativo al riguardo è il parallelo con alcuni modelli parigini, spesso veicolati attraverso la vasta circolazione di avori, oreficerie, miniature, ecc., come nel caso di due celebri Crocifissi eburnei dei primi decenni del Trecento pervenuti al Louvre e che alla stregua di archetipi anticipano le soluzioni del corpo allungato e del disegno che ne anima il perizoma (Figg. 4-7).

Occorre comunque specificare che nel nostro caso non si assiste più alla crescente ipertrofia delle forme che avrebbe segnato l’arte di corte degli ultimi anni del regno francese di Filippo IV (1285-1314) e dei suoi eredi diretti. Il linguaggio ibrido dell’intaglio suggerisce un momento più tardo, perlomeno al 1360/70 circa o perfino oltre, ragionevolmente per mano di uno scultore maturato in un crocevia periferico rispetto al primato politico e culturale dell’ìle-de-France. Ci si riferisce all’articolato territorio dell’Alto Reno, oggi suddiviso tra Francia, Germania e Svizzera e in cui il drammatico Crocifisso (1330/70 circa) dell’Augustinermusuem di Friburgo in Brisgovia e, soprattutto, quello assegnabile verso il 1360/70 nella chiesa dell’Invention-de-la-Croix a Kaysersberg (Grand Est) mettono in luce alcuni punti in comune con il Cristo in collezione Chiale (Figg. 8-11). Si tratta di pertinenze sempre generali, ma la tipologia compatta, il disegno grafico dell’anatomia, il tipo di perizoma e la fisionomia piuttosto caratterizzata sono indizi che concorrono a fissare delle coordinate geo-culturali più precise. In quest’area di frontiera e scambio dalla rilevante importanza strategica, specialmente grazie all’arteria del fiume Reno e ai numerosi cantieri gotici sorti lungo il suo percorso che videro la coesistenza di maestranze itineranti francesi con quelle germaniche, si ebbero declinazioni eterogenee delle novità nordeuropee, spesso con accenti interpretativi condizionati dal contesto storico locale.

Anche le vallate più a sud e i versanti alpini furono sottoposti allo stesso fenomeno e, in qualche caso, la persistente fortuna votiva dei simulacri lignei tardoromanici, quali Maestà e Crocifissi, portò a filtrare variamente le istanze del Gotico franco-renano. Tra il Massiccio della Giura e le Alpi, infatti, ritroviamo dei termini di paragone con caratteristiche simili alla nostra scultura, tra cui un Crocifisso del 1330/40 circa già nel villaggio di Fulenbach (Cantone Soletta), oggi presso lo Historisches Museum di Olten, nonchè un esemplare attorno al 1350 circa nello Schweizerischen Landesmuseum di Zurigo, proveniente da una località sconosciuta del Cantone Vallese (Figg. 12-15). Sebbene piuttosto abraso e dotato di un intaglio meno incisivo, proprio il parallelo con il Crocifisso di Fulenbach mette in luce più elementi di convergenza che distanza, in particolare per la tipologia francesizzante che anche in questo caso si fonde a una salda compostezza formale di più remota tradizione. Ciò permetterebbe di estendere l’ipotesi di un’origine altorenana del Cristo Chiale fino a includere almeno le Alpi occidentali in Svizzera. Basti ricordare del resto che proprio il tipo di conifera da cui è ricavata l’opera sembra essere della specie di Pinus cembra, meglio conosciuto come cirmolo e che, notoriamente, in età medievale fu diffuso soltanto nei boschi della dorsale alpina, tanto da essere utilizzato in gran parte della produzione plastica autoctona.

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